L’associazione PugliaLibre assegna il premio per il miglior romanzo pugliese uscito nel 2012 al mio Il corpo estraneo (qui si può leggere la notizia). Il sottoscritto ringrazia e rilancia con l’incipit dello stesso, che suona più o meno così:
Sono sobrio, è da un po’. Più che sobrio: è che neppure mi riesce – e così lo scrosciare di pagine del libro nuovo, vagamente gelido, tutto un progressivo distaccarsi – prendere le distanze dalla carne della prosa. Una nausea, pur tentata allo stesso tempo da un neutro movimento laterale, come a mettersi fuori fuoco, continuamente, fuori gioco, estromessi da sé (si può?). Sì, una nausea, col trucchetto dell’algido, del vitreo, dell’incomunicabile (ancora?). La curiosità che scema su ogni pagina. Una fatica non richiesta torna in faccia sotto forma di occhio stanco, arrossato. Brucia negli occhi, manco una bracetta, il tentativo di distacco dell’uomo nascosto tra quelle pagine, tra gli interstizi, tra le interlinee e le spaziature o nell’incauto regime ritmico della punteggiatura. Punti, virgole e a capo, indebitamente sottostimati, strage di ritmo: inqualificabile. Scioglie storia e impalcatura di storia (a volte ci si può accontentare di impalcature, figurarsi: è già tanto in Penisola) nella poltiglia che molti editori si ostinano a chiamare libro. Ma i libri no, ex legno, non ancora sedia, i libri sono tutto ciò che non è ancora sedia. Non presuppongono alcuna comodità eppure a essa vengono associati. Questo poi, prosa scarna e scazzo incarnito, incallito, grida ancora vendetta. Di niente parla e ci sta, ma di vita neppure l’olezzo spento di un 69. Perché m’ostinavo? Intervistato come spesso facevo da me stesso, avrei risposto: domanda da esibire a più livelli, anche altrove: un passaporto.
Mi fa piacere ricevere questo premio non tanto per quel solletico all’ego che si prova in queste occasioni, quanto per il libro stesso. Considero i miei libri staccati da me, a un certo punto. Il corpo estraneo non è un libro facile, non è un libro furbo né paraculo. Lo vedo anche dalla difficoltà oggettiva che l’editore ha nel pubblicizzarlo. Non strizza l’occhio al lettore in alcun modo: me lo hanno fatto notare anche i ragazzi della scuola in cui sono andato a presentarlo. Non lo strizza perché non fornisce risposte ed è scritto in una lingua non troppo facile e molto letteraria. Beninteso: non è che un libro scritto così sia automaticamente un buon libro. Però non potevo scriverlo diversamente, anche se adesso vorrei – scrivere diversamente, in generale.
Penso che sia importante che un libro del genere, ostico anche per il suo autore, abbia un po’ di fortuna, e ripeto, non per il sottoscritto e forse neppure per il libro in sé: ma per un certo tipo di libri, perché possano ancora essere scritti (e pubblicati). Tutto qua.