Quando moriva un sedicenne, talvolta anche un ventenne, le chiese erano invase da questo esercito di ragazzini e ragazzine. Non si erano mai spinti oltre un’acquasantiera dal giorno della cresima, e non sarebbero tornati per molto tempo. Una languida rabbiosa carica di corpi in fiore. Non c’era santa che pareggiasse il profumo di frutta e sudore di una quattordicenne in lacrime per la scomparsa di un’amica. Pura fronte serena di bimba, recitò ancora il sacerdote. Quando ad andarsene erano i sessantenni, accorrevano i colleghi di lavoro. I novantenni erano specializzati nel trascinarsi dietro interi paesi. Ma erano i trentenni la tragedia. I trentacinquenni, non di rado i quarantenni. Non c’erano colleghi di lavoro perché spesso non c’era un lavoro. E quando il lavoro c’era, i colleghi erano troppo impegnati nella lotta per la sopravvivenza. Gli amici – quelli veri, quelli che un tempo lo erano stati – erano lontani, persi nelle città del Nord, dentro i pantani delle loro vite. Forse la notizia era arrivata anche a loro, e il cordoglio (da centinaia, forse migliaia di chilometri) provocava minuscole torsioni nelle fiamme delle candele elettriche.
Così in quei casi il corpo restava alla mercé della famiglia. Col risultato (la beffa, pensò il sacerdote preparandosi alla comunione) che a gestirlo erano coloro contro cui il morto doveva aver lottato per emanciparsi quando era in vita – madri e padri e nonni e zie dei quali non sopportava neanche più la dentatura deformata attraverso il vetro del bicchiere da cui bevevano.
Avere al proprio funerale le persone ai funerali delle quali avresti dovuto esserci tu. Per non parlare dei loro amici, che magari non avevi mai neanche conosciuto.
[…] Ogni giorno Giuseppe Greco produceva una cinquantina di tweet usando undici diverse identità. L’intento consapevole era portare la sua rubrica – Spazio Lumière, tremila battute quotidiane di critica cinematografica – oltre il bacino asfittico dei confini regionali. Utilizzava @spaziolumiere per rivelare ai follower l’argomento del giorno e ritwittare tramite l’account del giornale. Nelle sembianze di se stesso (@giuseppegreco) segnalava con fair play gli articoli dei colleghi più famosi, quelli che scrivevano su Repubblica o sul Corriere della Sera. Poi c’erano i personaggi di fantasia. @brancaleone era il fan sfegatato, @nocturama il contestaore, @magellano segnalava le stroncature ai diretti interessati mentre @vivresavie pungolava i registi – ma anche attori, sceneggiatori – con domande (seguiva link) che nascevano dalla lettura della rubrica. Il desiderio era che qualcuno prima o poi si degnasse di rispondere. Circostanza che peraltro si verificava. “Read review. Seems good” era stata la risposta di @wimwenders a una sollecitazione di @vivresavie. Giuseppe Greco la custodì in se stesso come una reliquia dopo averla ritwittata con tutti e undici gli account.
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Nicola Lagioia | La ferocia