Jakub Różalski

Dopo l’analisi dei dati Svimez 2015, pubblico alcuni stralci di un altro intervento del poeta Guglielmo Soga. I temi sono gli stessi: meridione, sviluppo, contemporaneità. L’illustrazione è di Jakub Różalski.

§

Quando, nel 2010, ho creato Progetto Itaca, molti hanno pensato a una sorta di residuato hippy trasportato, non senza qualche forzatura, nella contemporaneità. Non era così. All’epoca io stesso discutevo spesso con politici, banchieri, economisti e imprenditori, e non parlavamo certo di poesia o letteratura. Spesso ero a pranzo o a cena anche con personaggi stranieri di un certo calibro, con cui si parlava di Facebook, Apple, Google, Amazon e compagnia cantante. Lo stesso Progetto Itaca era nato in rete, del resto. L’obiettivo non era fare poesia dal vivo, quello era il mezzo. Noi volevamo parlare di economia, che in fondo è il nostro modo di stare al mondo senza distruggere né noi né il pianeta che ci ospita […] È chiaro che con Itaca le cose sono andate diversamente. Forse chi aderì al progetto non aveva compreso appieno di cosa stavamo parlando, o forse ero io che non mi ero spiegato bene. E comunque è finito tutto per forze di causa maggiore […] abbiamo dovuto interromperlo dopo l’alluvione di quell’anno. E in fondo l’epilogo di Itaca dice molto […] un progetto nato in rete, in una delle zone più povere del nostro Paese, interrotto dall’irrompere dalle solite e ataviche questioni del nostro territorio: un’alluvione, la terra che frana perché troppo consumata, e insomma tutte le contraddizioni dell’epoca che viviamo che impediscono, nell’immediato, l’approdo a una riflessione comune.

Oggi stiamo ancora così, certo, i problemi sono gli stessi. Le contraddizioni, pure […] in pratica io posso passare tutta la mattina in rete a parlare col mio amico americano Jeremy Coulhon, un sociologo texano che consiglio a tutti di leggere, di come a breve i nostri avatar se ne andranno in giro a lavorare al posto nostro, magari anche dopo la nostra morte, o di come uno dei giganti tecnologici sconfiggerà questa o quell’altra malattia […] e poi il pomeriggio mi ritrovo a raccogliere olive dalle parti di Foggia in un campo che dà sempre meno frutti insieme a un altro amico che ha il problema di difendersi dalla desertificazione, dalle grandinate e dai furti, sempre più frequenti, da parte di ragazzini africani che vengono da una delle tante famiglie che si sono stabilite qui (vivendo in povertà) da almeno due generazioni, senza che neppure ce ne fossimo accorti.

Cosa voglio dire? Voglio dire che in questi anni non si è fatto abbastanza. Abbiamo accarezzato una sorta di cambio di paradigma nella storia dell’umanità […] ma io non so se c’è stato davvero. Non al sud, almeno, e per sud intendo tutte le nostre regioni meridionali ma anche l’Africa, ampie zone del Medioriente e dell’America Latina. La questione è sempre la stessa: la tecnologica disegna un mondo sempre più libero e lontano dal sacro, in cui i profitti, sempre più alti, sono garantiti per una minoranza, mentre la maggior parte delle persone non fa che sognare di entrare a far parte di quella minoranza […] e chi comunque ne ha uno lavora il triplo di quanto avrebbe lavorato cinquant’anni fa. Ed è sostanzialmente povero. In altri termini, la questione è ancora una volta quella dell’uguaglianza. È su questo punto che si è fatto poco o niente, quando non si è fatto addirittura dei passi indietro da gigante, per citare Edoardo Sanguineti […] L’uguaglianza è clamorosamente uscita dalle agende della maggior parte dei politici, tranne di quelli che fanno demagogia. E non credo sia al primo posto, se non in maniera contraddittoria e pittoresca, in quelle dei grandi capi dei colossi tecnologici. La conclusione a cui arrivo è che anche la persona più di sinistra che conosco, se proprio vogliamo ostinarci a usare questo termine, è comunque molto a destra, o quantomeno molto conservatrice, almeno in questo inizio di millennio. Ma forse questa mia idea attiene alla natura più profonda dell’essere umano; in altri termini, mi rendo conto soprattutto che questa è una conclusione più antropologica e poetica che, come dire, politica.

Prima ho citato Foggia. In Puglia ci sono stato tantissimo, in questi ultimi anni […] anche prima di Itaca. A Itaca c’erano molti pugliesi, del resto. Fino a qualche anno fa, la Puglia ha rappresentato un caso abbastanza singolare nel panorama delle nostre regioni meridionali. Non voglio allargare troppo il campo, mi riferisco soprattutto al settore delle politiche giovanili […] per qualche tempo sembrava coincidere o almeno intrecciarsi con un ambito più vicino a quello di un assessorato al lavoro o allo sviluppo. O perché no, addirittura al welfare […] Dall’inizio del Duemila fino a qualche anno fa, la Puglia è stata la zona d’Italia in cui i fondi europei sono stati spesi meglio. O almeno sono stati spesi, come diceva qualcuno. E come? Con l’innovazione, ad esempio, in campo imprenditoriale, tecnologico, sociale. Vi consiglio di andare a dare un’occhiata al programma Bollenti Spiriti, a quello che ha prodotto […] anche alla fine di quell’esperienza, le contraddizioni erano lampanti: un governo di centrosinistra aveva prodotto delle politiche che puntavano a generare ricchezza andando a intervenire in settori anche molto arretrati, puntando però sull’iniziativa privata e sulla realizzazione del singolo individuo. Politiche di sinistra che generavano retoriche di destra […] o quantomeno tipiche del liberismo: non a caso le parole chiave ricorrenti, all’epoca, erano talento, creatività, successo […] Provo a fare un esempio concreto: prendete un quartiere in cui non c’è niente. Niente asili, niente assistenza agli anziani, niente cinema, biblioteche, attività ricreative o cose simili. Alcuni ragazzi mettono su una cooperativa. Prendono un locale, lo ristrutturano intercettando fondi regionali e quindi europei. Come si diceva allora, lo restituiscono alla comunità: cominciano a fare doposcuola, organizzano attività per giovani e meno giovani, programmano interventi di assistenza domiciliare e via dicendo. Magari si inventano persino qualcosa per gli immigrati. E così vincono altri bandi. Si mettono in rete con chi fa cose simili nel resto d’Italia o d’Europa. Si inventano anche una app […] e dopo un po’ la cooperativa diventa una vera e propria azienda con finalità di lucro […] capace, tra le altre cose, di fare lobby, di fare pressioni sugli attori politici su scala più o meno locale. A un certo punto questa azienda è molto influente ed è ovviamente in competizione con gli enti pubblici che svolgono o dovrebbero svolgere funzioni simili negli stessi settori […] a quel punto, cioè, può orientare bandi e interventi pubblici, più o meno locali, e i suoi dirigenti sono a tutti gli effetti degli imprenditori, peraltro stimati anche fuori dal settore specifico. E qual è il settore specifico? Non ce n’è mica uno solo, non più, visto che a quel punto l’azienda si occupa anche di editoria, comunicazione politica e, perché no, produzione di materiali ultraleggeri per aeroplani – così come non ha un solo settore specifico una grande corporation come Google, ad esempio, e siamo al punto. In Puglia, in questi anni, la contraddizione è stata questa: si sono effettivamente create delle startup con fondi pubblici, startup che alla lunga hanno ovviamente perseguito un interesse privato, pur agendo in settori che collimavano con il pubblico. Il cortocircuito tra destra e sinistra, a livello di retoriche, è abbastanza chiaro. Ma a livello politico? Si è trattato di illuminanti interventi da socialdemocrazia avanzata, oppure di aiutini da parte del pubblico volti all’innesco di scintille di un capitalismo avanzato, oligarchico e tecnologico come nel resto del mondo? Non c’è una risposta […] credo che all’epoca sia stato tutto molto casuale e che non ci fosse molta consapevolezza in merito. Oggi però i risultati sono sotto gli occhi di tutti: chi ha avuto successo si è spostato, ha investito altrove, senza creare comunità stabili (molto banalmente, come si può creare comunità se l’interesse è privato e soprattutto temporaneo in una data area geografica?), chi invece non è riuscito a emanciparsi dal pubblico è morto, oppure, per restare alla retorica vigente, ha pianto il suo fallimento in solitudine (come negli USA: se non ce la fai, è perché non sei abbastanza bravo) […] Mi piacerebbe che si parlasse di tutto questo, visto che a qualche anno di distanza noi viviamo ancora in quello stesso mondo, che è il mondo, tanto per essere chiari, in cui Google sta mappando e secretando il nostro codice genetico come se fosse la formula della Coca Cola o l’algoritmo di un motore di ricerca qualsiasi, spacciando per di più quest’operazione per un atto filantropico.

Ed è stato in quel mondo che è nato Progetto Itaca, che ovviamente beneficiò di fondi europei al pari di tante iniziative pugliesi di quegli anni. Creare una casa comune della poesia, ripeto, era solo il mezzo: guardarsi in faccia tra poeti della rete, finalmente, dopo anni da reclusi a scribacchiare su un social network o nelle chat, in fondo in cerca di calore umano e poco altro. Il punto era creare una comunità in una terra storicamente portata all’accoglienza, alla solidarietà, e da lì cominciare a parlare di politica, economia, tecnologia, senza ignorare la modernità […] Non so se abbiamo fallito, a volte i risultati di quello che si semina si vedono a molti anni di distanza, specie se hai cercato di lavorare su un cambiamento culturale […] Prima ho parlato di un cambio di paradigma: se ce n’è uno biologico, non può non seguirne un altro culturale, e viceversa […] Se abbiamo fallito, in buona sostanza, è perché abbiamo adottato lo stesso linguaggio di ciò che non dico che volevamo combattere (non eravamo a un tale livello di militanza) ma quantomeno lo stesso delle contraddizioni che lo animavano […] io stesso per molto tempo ho parlato di comunità temporanee, rifacendomi, in parte, alle teorie di Hakim Bey, cedendo così prima sul piano linguistico e poi su quello culturale […] quando invece c’era bisogno di comunità stabili, sentimentalmente ed economicamente stabili, in termini più poetici di qualcosa che durasse, non dell’ennesimo cerino che illumina la strada per qualche istante e poi si getta via.


Guglielmo Soga, poeta