fuocoammare

«Perché la vita stessa è un rischio.»

Il bambino ha l’occhio pigro ma il pubblico – noi occidentali, quando vogliamo – ci vediamo benissimo; così pure l’Angelo della Storia, che stavolta non dovrà nemmeno voltarsi per giudicare: stavolta guarda e vomita già mentre accade.

Quanto all’isola: Lampedusa è il fermo immagine nel maelstrom dell’estetica del Mediterraneo: lo stesso mare in cui facciamo il bagno, le vacanze, i turisti, Mykonos e Santorini, lo stesso in cui hanno nuotato Salvatores, Virzì, i Vanzina.
Così Lampedusa è la roccia dove l’uomo può ancora essere uomo – purché sia uomo.
Mi stupisce sapere che da Nantucket alla Martinica come in Senegal e in Etiopia l’abitudine è la stessa: comunque vada, prima le donne e i bambini.

Cos’è questo? Un neorealismo finalmente guardabile, che non annoia l’occhio? Per noi occidentali l’etica, la morale di quest’inizio secolo sono subordinate all’estetica.
Questo è certo.
Dal canto suo, Gianfranco Rosi non fa cinema, non fa documentario; Fuocoammare è bellissimo e tedia insieme come la vita non mediata; non ha tesi da dimostrare né trama, ma scrittura sì, eccome.

Io quest’ibrido la chiamo friction, cioè percepisco l’attrito – soprattutto in assenza di original motion picture soundtrack – che certa realtà irrimediabilmente produce quando è costretta nella sua rappresentazione.

In quest’ibrido, il cinema puro, ancora praticabile, il cinema come atto insondabile, che finisce osceno, fuori dalla quinta e dallo schermo, questo cinema insoffribile, dicevo, permane nello sguardo dei migranti che guardano in camera – non si fa! – e così è per il racconto come necessità e desiderio, il racconto del tutto gratuito, quando i nigeriani cantano, tra loro, incuranti della macchina da presa, l’odissea attraverso il Sahara e la Libia: è per questo, in fondo, che inventiamo e trasmettiamo storie, prima ancora che medium e produzioni industriali per diffonderle.
Per uscirne vivi.

Di quel cinema, di quel racconto, noi occidentali non sappiamo più niente; non lo sa nessuno – e che significa migrante? Nel film non viene detto, pronunciato mai.